01/07/2009
Editoriale: Io, mammete e tu.
Continua la discussione alla Commissione ambiente del Senato sulle modifiche alla legge 157/92, e continuano imperterrite le notizie sulle evoluzioni di questo travagliato iter. Una sola notizia, però, appare certa: ognuno tira la “giacchetta” al proprio referente politico. Apprendiamo che il presidente di Federcaccia, Gianluca Dall’Olio, ha dichiarato ufficialmente che la sua associazione, dal giorno della presentazione della propria bozza di modifica alla legge 157, non ha più preso parte al cosiddetto “tavolo degli stakeholders”, brutto inglesismo da multinazionale americana che indica le parti interessate alla modifica, appunto, della legge. Ed in effetti, la prima domanda che sorge spontanea è: ma quali sono le parti interessate? Pare, inoltre, che dal tavolo si siano dissociati, o comunque non partecipino più propositivamente, i rappresentanti del mondo agricolo. Ritornando agli stakeholders, parola che sarebbe più appropriato sostituire con la frase “i rappresentanti delle associazioni portatrici di interessi diffusi” e con “tavolo di concertazione”, termine, quest’ultimo, tradizionalmente legato a qualsiasi trattativa che sia stata intrapresa con i sindacati (ed in effetti le associazioni venatorie dovrebbero essere dei sindacati), ebbene gli stakeholders presenti al tavolo di concertazione sono giunti ad arrogarsi il diritto di decidere pure per tutte quelle associazioni regionali non presenti a livello nazionale. E’ piuttosto evidente (o quanto meno dovrebbe esserlo, se si utilizzasse un po’ di più di buon senso e di logica) che i veri portatori della voce del popolo dei cacciatori sono quei soggetti radicati nelle realtà locali. In qualsiasi nazione che si fregia dell’aggettivo “democratica” è sempre esistito il rispetto delle minoranze: in Italia, invece, accade che le associazioni riconosciute a livello nazionale, non perché possiedano particolari requisiti o una rappresentatività numerica particolarmente consistente, ma soltanto per legge e basta, partecipino all’iter che dovrà modificare l’intera normativa di settore, la quale interessa anche quelle realtà locali (che in alcuni casi sono anche più rappresentative di qualche associazione riconosciuta a livello nazionale) che avrebbero più bisogno di essere ascoltate. Ma, come da italica tradizione, nulla accade mai per caso: infatti, dal 1992 (anno in cui è entrata in vigore la legge 157) le associazioni venatorie riconosciute a livello nazionale percepiscono contributi tramite la tassa dell’addizionale statale prevista dell’articolo 24 della 157, tassa che viene pagata anche dai cacciatori soci delle associazioni riconosciute soltanto a livello ragionale, oltre alle somme versate dai seguaci di Diana che decidono di assicurarsi presso compagnie private non appartenenti al mondo dell’associazionismo venatorio. E’ anche lontanamente immaginabile che questi “stakeholders” possano lasciare spazio ad altri? E’ chiaro che no, basta ricordare il trattamento riservato alla Confavi con tutti i ricorsi presentati contro. Ed allora ci tocca assistere al teatrino messo su con presidente dell’ Arcicaccia, che sicuramente porta con sé al “tavolo di concertazione” un paio di foto di Pecoraro Scanio e di Realacci, dall’inossidabile onorevole Berlato, dimentico della benevola accoglienza della Confavi e che – forse – è in armonia con la Libera Caccia, dai “silenziosi e riservati” dell’ Enalcaccia, dall’ avvocato Bana – forse in attesa di riconferma alla Delegazione FACE – e, dulcis in fundo, dall’ Italcaccia e dall’ EPS, le quali congiuntamente rappresentano, forse, l’ 1,2% dei cacciatori italiani. Forse, il concetto di tutela delle minoranze viene inteso in questo senso: chi non rappresenta nemmeno il 2% della popolazione dei cacciatori fa “teatro” al “tavolo degli stakeholders”, chi invece rappresenta una parte ben più consistente del mondo venatorio (ci sono associazioni, tanto in Sicilia quanto in Sardegna, numericamente più consistenti di Italcaccia e di EPS) sta a guardare la “rappresentazione”, in trepidante attesa e comprensibile apprensione. Non è una bella rappresentazione, infatti, quella a cui dobbiamo assistere, nostro malgrado, negli ultimi giorni. Ed allora, quello che noi oggi tentiamo di gridare a gran voce, e che probabilmente allarma le rappresentanze nazionali, è questo: il mondo della caccia è di tutti e bisogna ascoltare tutte le voci, anche quelle delle “minoranze”, che poi tanto “minoranze” non sono, e si decide serenamente sul da farsi. Non vorremmo dover prendere esempio da un nemico storico della caccia, Marco Pannella, ed annunciare un mega digiuno da parte dei cacciatori per sbloccare questa imbarazzante (per gli “stakeholders” ufficiali, per noi antidemocratica) situazione. Oppure, forse è meglio, dover intraprendere qualche forma più incisiva e credibile di protesta, per poter ottenere un minimo di solidarietà da parte del mondo venatorio interessato. Meditate, amici cacciatori: la caccia è malata, e con questo andazzo riconducibile ad una canzone degli anni ’50, “io, mammeta e tu”, non credo che qualcuno seduto al “tavolo delle parti interessate” possa sciogliere la “prognosi” prima del trapasso tanto sperato dal mondo animalista ed ambientalista: a questi ultimi, d’altro canto, della salvaguardia della fauna del territorio e dell’ambiente in generale interessa ben poco. A loro interessa solo il “faraonico orto da coltivare” (ovvero oasi, parchi et similia) e la scomparsa del nemico cacciatore. Attendiamo vigili, e curiosi di conoscere cosa ci verrà raccontato dalle associazioni nazionali quando faremo gentilmente - ma fermamente - rilevare che in Sicilia non è cambiato nulla e che i problemi della caccia della nostra regione sono sempre gli stessi. Francesco Mistretta